Tutto è chiaro fin dalla primissima inquadratura: il vero protagonista di Unstoppable, per Tony Scott è la gigantesca motrice che (non a caso) per via di un errore tutto umano procederà a piena potenza, senza controllo, lungo la direttrice principale delle ferrovie della Pennsylvania, carico esplosivo e tossico al seguito. È quel treno, fotografato come un leviatano organico, che è il polo d’attrazione e d’unione di un contesto frammentato e fino a quel momento in(ter)dipendente, sono quei binari la spina dorsale di un film che rappresenta forse la massima dichiarazione estetica mai rilasciata dal regista. Non perché Tony Scott in questo film (come in altri) sia poco interessato alle personalità dei suoi personaggi in carne ed ossa, ché l’elemento umano è comunque destinato a risultare hollywoodianamente decisivo: ma perché nel suo fondersi con la natura più pesante, meccanica e industriale di quel che racconta e rappresenta, riesce poi a far volare più alta e leggera una forma che praticamente da sempre – o comunque almeno da Nemico Pubblico – abbraccia la flessibilità, la simultaneità e la velocità delle tecnologie e dell’universo digitale.
Il cinema è questo, per Tony Scott: è industria, è un treno che deve travolgere lo spettatore, ma lo deve fare in equilibrio con la sua natura intimamente tecnologica. E Michael Bay, che grossomodo la pensa in modo simile, avrebbe di che imparare, da Unstoppable.È per questo, e non solo per la sceneggiatura di Mark Bomback, migliore perché più essenziale e funzionale, che questo film è assai più apprezzabile rispetto ai precedenti Phelam 123 o Deja Vu che pure tematicamente e narrativamente non erano poi così distanti. Perché lasciando che i personaggi dei vari Denzel Washington, Chris Pine, Rosario Dawsonsiano satellitari rispetto all’Oggetto e all’Evento, per poi esserne attratti magneticamente e centripetamente, Scott permette loro di essere più onestamente caratterizzati e raccontati, che emergano meglio le loro personalità e il loro ruolo sociale. Ruolo importante in un film che racconta (anche) la riscossa dei blue collar sui colletti bianchi: non perché retoricamente lavoratori e innocenti a tutto tondo, ma perché capaci - come categoria e complesso, come macchinario - di assumersi le proprie responsabilità e rimediare ai propri errori.
Senza mai dimenticare che per Scott, e in Unstoppable, è sempre il viaggio, frenetico e adrenalinico, che conta, e non la (scontata) destinazione. È il cine(ma)tismo.
coming soon
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